Il problema maggiore non è riattivare il cervello dopo la pausa estiva, ma cercare di riappropriarsi degli avvenimenti senza eccedere nella rabbia e nella indignazione. O peggio nel più totale pessimismo rispetto ad una prospettiva futura.
Certo questo è un blog su cui dovrei scrivere di mutui, ma mi perdonerete se, causa “forzata inattività”, mi occupo di altro.
Facciamo il punto: qual’è lo stato attuale delle cose?
Ovviamente sempre lo stesso, nel nostro paese sembra cambiare sempre tutto ma rimane sempre tutto uguale, tranne il momento di lagrime e sangue che sta proseguendo, inesorabile, lasciando sul terreno morti e feriti.
Qualcuno però parla di “lenta ripresa” anzi addirittura di manovre epocali in atto per favorire lo sviluppo.
Ma come si fa a parlare di sviluppo e contemporaneamente varare misure che affossano sempre di più la nostra economia interna tanto da venire giornalmente puniti dai mercati finanziari che ben sanno leggere ciò che accade e sempre “scontano” in anticipo ciò che deve ancora accadere?
Tali affermazioni sono frutto di pura incoscienza, di lucida follia o semplicemente sono palesi bugie?
Come ci hanno insegnato fin dalle scuole elementari c’è una geografia fisica e una politica e mai come in questo periodo è così vero per la nostra sempre dicotomica Italia. Da una parte una politica fatta da un governo, non politico e nemmeno eletto, che sembra muoversi e parlare ad un paese che non c’è.
E una massa di uomini politici che assolutamente incuranti di quanto sta succedendo, conoscendo anche bene i propri polli e sempre attenti a proteggere gli interessi delle lobbies più rappresentative, riescono, nonostatnte tutto, a bloccare in Parlamento quanto i primi provano a fare per cambiare aspetto al Paese.
Dall’altra parte il paese “fisico” quello ormai talmente cinico e provato che li sta lasciando fare, ma che sta buttando il sangue per sfangarla, il paese dove non si compra più una casa o un’automobile da sempre gli indicatori primari dell’economia che gira o della positività dei cittadini.
Il paese dove intere strade sono disseminate di vetrine chiuse o di attività che riducono la superficie dei loro negozi, di cartelli vendesi o affittasi.
Dalle attività più disparate che si tramutano in gelaterie, le uniche che sembrano funzionare.
Naturalmente non solo le attività commerciali stanno soffrendo ma quando si parla di sviluppo e si invoca persino un “aumento della produttività” sono sicuramente i consumi l’indicatore più immediato del benessere di un paese, così come il costo dei servizi è lo specchio delle sue difficoltà.
In tutto questo apprendiamo che i prezzi degli immobili stanno scendendo ma sono ancora troppo cari rispetto alla ricchezza posseduta, che la raccolta in strumenti del risparmio è ancora positiva, che data la richiesta, i prezzi degli immobili all’estero stanno invece lievitando così come gli affitti interni che soffrono degli inasprimenti fiscali. Tutto ciò che è lusso va alla grande così come l’esportazione delle nostre tante eccellenze.
Ricchezze che ovviamente restano lì, nei paesi dove vengono prodotte.
Allora?
Cosa c’è di strano in tutto questo, cos’è che non quadra, cos’è che fa smuovere le coscienze a difesa di lavoratori di zone già “difficili” del nostro Paese come Ilva, Sulcis, Alcoa, e non porta in piazza qualche centinaia di migliaia di metalmeccanici per quanto sta accadendo in Fiat?
E i lavoratori che dovranno andare in pensione con 6/7 anni in più come i nati nel 1953/1954, e gli “esodati”, e quelli che causa “revisione della spesa” (in italiano è più carino), il posto di lavoro non lo avranno più anche proprio fisicamente?
E gli studenti? Scuole chiuse o accorpate, libri e tasse più costosi, cattedre abolite e un futuro professionale quanto mai incerto se non addirittura inesistente?
Ovviamente quanto dico non è certo da interpretare come una istigazione alla piazza, ma certo come elemento di riflessione.
Siamo daccordo che molto passa dalla dura e infaticabile lotta all’evasione fiscale messa in atto dall’attuale governo, ma tale endemica caratteristica del nosrtro paese sembrerebbe quasi essere stata, insieme alla corruzione, il pilastro principale della nostra economia.
E non voglio fare pensieri apparentemente qualunquistici e controcorrente come quanto affermato in questo provocatorio e bellissimo articolo da Hans Magnus Enzensberger, e sono anche consapevole che per ricostruire bene bisogna prima abbattere, ma dopo che la nostra generazione avrà finito quanto accumulato grazie all’evasione fiscale e alla solidarietà familiare dove troveremo le risorse per costrruire questa società nuova che tutti auspichiamo?
Dalla ridistribuzione di quali ricchezze? O risorse? E chi dovrebbe esserne il progettista?
Ammenoché la vera domanda da porsi non sia un’altra: ma non è che dietro tutto questo ci sia una strisciante, e forse nemmeno tanto, nuova lotta di classe?